Erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre 1980 in Irpinia e fu il caos
Una scossa di magnitudo 6.9 della scala Richter devastò l’Irpinia, erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre 1980
Erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre 1980
L’epicentro del terremoto fu tra i paesi di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre 1980.
Il sisma colpì la Campania centrale, la Basilicata centro settentrionale e parte della provincia di Foggia. In maniera più ridotta coinvolse anche tutto il resto del meridione.
Erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre 1980 e il terremoto causò circa 280 mila sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Era una domenica e la forte scossa durò 90 lunghissimi, interminabili secondi, con un ipocentro di circa 10 km di profondità e colpì un’area di 17.000 chilometri quadrati.
Balvano
Io ero un soldatino ventiseienne di stanza alla Caserma Papa a Brescia, appartenevo al 20° Battaglione Meccanizzato Monte san Michele. In quell’occasione l’esercito dimostrò di essere utile anche in tempo di pace. In fretta e furia preparammo il convoglio e andammo a fare i soccorritori nel piccolo comune di Balvano. Solo in quel paese il crollo della chiesa di Santa Maria Assunta aveva provocato la morte di 77 persone. 66 di loro erano bambini e adolescenti che assistevano alla messa serale.
Gaetano Sammartino
A ricordare quella tragedia è Gaetano Sammartino, un geologo piemontese Presidente Società Italiana di Geologia Ambientale – sezione Campania.
“Erano le ore 19 e 35 del 23 Novembre, una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter e con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, causò ben 280.000 sfollati, più di 8000 feriti e 2914 morti. Il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, ma anche il Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II, si recarono sui luoghi.
Tante furono le polemiche relative ai soccorsi e fu un evento che cambiò per sempre il tessuto sociale. Il terremoto in Irpinia ha evidenziato la fragilità e la fatiscenza del patrimonio edilizio italiano di quell’epoca, ancora non avevamo la Protezione civile che è stata costituita proprio a seguito del sisma.
Dopo 44 anni da quella sera del 23 novembre 1980 è cambiato molto poco. Purtroppo, la cultura del rischio è ancora molto lontana. Negli ultimi 500 anni abbiamo avuto in Italia 88 terremoti distruttivi. Il 70% della sismicità che conosciamo si concentra nell’Appennino.
Dall’Unità d’Italia i disastri sono stati ben 36. Dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, furono avviati estesi studi in diversi settori disciplinari quali la storia, geologia, sismologia e ingegneria, che hanno segnato un’importante stagione di ricerca e raggiunto rilevanti risultati. Fra questi, lo studio di terremoti della millenaria storia italiana ha messo in evidenza i caratteri sismici del Paese e gli elementi che ancora oggi concorrono a fare dei forti terremoti un nodo cruciale: alta vulnerabilità dell’edificato, alta frequenza delle distruzioni e scarsa qualità delle ricostruzioni storiche”.
La cultura del rischio
“Queste conoscenze non si sono però tradotte in una cultura del rischio: infatti oggi non c’è quasi domanda di sicurezza abitativa da parte della popolazione, anche nelle aree a maggior rischio sismico. Per esempio: sappiamo se i cosiddetti edifici strategici (Ospedali, scuole, municipi, caserme, centrali operative) insomma quegli edifici che devono necessariamente restare in piedi in caso di catastrofi, sappiamo se sono sicuri??”
“Pensate che in Italia ancora oggi non è possibile stilare una percentuale degli edifici strategici che rispondono ai criteri di sicurezza e di accessibilità – ha continuato Sammartino – in caso di un evento sismico idrogeologico ecc. Poi c’è da aggiungere che gran parte di questi edifici sono stati costruiti prima delle leggi antisismiche recenti. Riflettiamo un attimo, se questa è la realtà per gli edifici strategici, immaginiamo quale può essere il panorama dell’intero urbanizzato dei nostri centri storici che hanno fra l’altro un valore e un pregio elevatissimo”.
Le leggi!
“Ho fatto un accenno alle leggi in materia: Pochi anni prima del sisma dell’Irpinia era stata approvata la Legge n. 64 del 2 febbraio 1974, una pietra miliare nel percorso delle norme tecniche in Italia, che stabiliva alcuni principi generali, anche di carattere tecnico, e affida ad appositi Decreti Ministeriali il compito di disciplinare i diversi settori delle costruzioni; Il D.M. 3 marzo 1975 per gli aspetti sismici, che approvava le norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche”.
“Fu definita la nuova mappa di pericolosità sismica di base, nella quale appena il 25% del territorio era classificato sismico; I terremoti del Friuli, con le due scosse del 6 maggio 1976 e quelle del 15 settembre 1976, e soprattutto il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 riportarono la questione sismica all’attenzione nazionale e si avviarono numerosi studi per il miglioramento sia della classificazione sia delle norme tecniche”.
“Quindi con il D.M. 7 marzo 1981 e il successivo D.M. 3 giugno 1981, il 43% del territorio nazionale fu classificato sismico; ed in particolare, fu introdotta la zona sismica di terza categoria (caratterizzata da un grado di sismicità inferiore, che includeva diversi comuni delle province di Napoli e di Salerno e, in seguito, anche il comune di Roma”
“In parallelo – ha continuato il geologo Gaetano Sammartino – i decreti previsti dalla legge 64/1974 si susseguirono fino al 1996, anno in cui vennero emanate pressoché contemporaneamente le norme per le costruzioni in zona sismica (D.M. 16 gennaio 1996), quelle per le costruzioni in c.a., c.a.p. e acciaio (D.M. 9 gennaio 1996) e le norme sui carichi e sovraccarichi (D.M. 16 gennaio 1996) con vari miglioramenti (per esempio una maggiore attenzione agli elementi non strutturali)”
Il crollo dell’istituto scolastico pluricomprensivo
“Un significativo passo in avanti, però, ci fu soltanto a seguito di una ennesima tragedia: il 31 ottobre 2002 un violento terremoto provocò il crollo dell’istituto scolastico pluricomprensivo di San Giuliano di Puglia, in Molise, causando la morte di 27 bambini e una maestra. Il territorio comunale di San Giuliano di Puglia risultava una “isola” non classificata come sismica in un mare di comuni sismici. L’impatto sull’opinione pubblica fu notevole e in pochi mesi vennero riviste sia la classificazione che le norme tecniche”.
“Quindi, con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, che recepì gran parte delle indicazioni della normativa europea (Eurocodice Sismico 8), vennero introdotte significative modifiche all’assetto normativo: Tutto il territorio fu classificato sismico, inserendo la zona 4, a sismicità molto bassa e vennero definite le azioni sismiche attraverso gli spettri elastici e di progetto; In realtà però, all’OPCM n. 3274/2003, successivamente aggiornata con l’OPCM 3431/2005”
“Seguì un periodo di caos, in cui erano vigenti sia le vecchie norme, sia le più recenti, e nel 2005 il Ministero delle Infrastrutture pubblicò anche le Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. Infrastrutture 14 settembre 2005) che hanno rappresentato il primo tentativo di raccogliere in un unico volume tutte le norme tecniche”
Il terremoto dell’Aquila
“Tentativo che, invece, andò in porto qualche anno dopo, quando a seguito del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, entrarono in vigore, sostituendo tutte le norme precedenti, le nuove “Norme Tecniche per le Costruzioni” (NTC-2008), aggiornate poi dalle NTC-2018 con la successiva Circolare applicativa 7/2019 del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici”.
“Queste inglobano in un testo unico tutte le norme tecniche, comprese quelle sismiche, comprendendo sia la nuova mappa di pericolosità sismica di base sia la normativa tecnica, che definisce i criteri per assicurare alle strutture una vulnerabilità sismica bassa”.
L’Italia è un paese di vecchie costruzioni
Infatti gran parte del costruito, in Italia, è antecedente alle attuali norme tecniche per le costruzioni.
“Si comprende quindi, facilmente, che gran parte del costruito in Italia non rispetta le attuali norme tecniche per le costruzioni e ciò vale sia per l’edilizia pubblica sia per quella privata. Le attuali NTC – 2018, se correttamente applicate, ci possono permettere di fare la differenza, nel senso che conoscere dove gli effetti di un terremoto possono essere “amplificati” dalle condizioni geologiche, può fare la differenza per la prevenzione e la riduzione del rischio sismico”.
Tutto ciò ci potrà permettere di indirizzare le scelte urbanistiche e progettuali verso le aree a minore pericolosità. Ma soprattutto ci potrà consentire di diventare una efficace strategia di prevenzione e mitigazione del rischio sismico in termini di riduzione della vulnerabilità delle costruzioni esistenti. Quindi oltre a costruire in maniera antisismica tutto il nuovo da costruire occorre procedere a programmare una serie di interventi di “adeguamento” sismico con l’obiettivo di ottenere i livelli di sicurezza previsti dalle NTC 2018, cioè di raggiungere una resistenza pari a quella di un edificio di nuova costruzione”.
“Dal punto di vista geologico occorre indagare in maniera dettagliata il sito dove sorge il fabbricato da adeguare attraverso una analisi di microzonazione sismica di I°, II° e III° livello”.
Tante domande senza risposte
“A questo punto le domande che possiamo porci sono: Quanti comuni hanno provveduto a redigere la carta della microzonazione sismica di I°, II° e III° livello? Quei comuni che hanno provveduto a redigerla, hanno successivamente pianificato in modo opportuno? I fabbricati esistenti sono stati adeguati sismicamente? I fabbricati costruiti prima delle leggi antisismiche, sono stati adeguati? I fabbricati costruiti dopo le leggi antisismiche, sono realmente adeguati sismicamente? Quanti sono i Comuni che si sono dotati del Piano di Emergenza di Protezione Civile? E quelli che lo hanno redatto, lo hanno aggiornato?”
“Da queste considerazioni – ha concluso Sammartino – appare evidente che bisogna dare un maggiore impulso per portare avanti la redazione degli studi di microzonazione sismica di cui alle NTC 2018. Ma i problemi e le ferite del territorio italiano non sono soltanto i terremoti, che sono eventi naturali che non si possono prevedere, ma anche il dissesto idrogeologico, provocato dalle modificazioni estreme del territorio da parte dell’uomo”.
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